Trasformazione della carta per stampe antiche
La carta per stampe antiche subì nei secoli una trasformazione nei suoi processi produttivi.
Dai tempi della sua comparsa e diffusione in Europa attraverso le porte della Spagna e dell'Italia tra il XII e XIII secolo, essa dovette competere con la pergamena, garantendone le medesime caratteristiche. Sbaragliato il campo, la carta arrivò all'apice qualitativo nel XV secolo, mantenendolo fino alla metà del seicento, quando si apportarono alcune modifiche produttive che nel tempo si rivelarono dannose per il degrado a cui sottoporranno i fogli, manifestato sotto forma di ingiallimento e di perdita di resistenza alla manipolazione.
Sarà nel 1930 che si comprese come nell'acidità della carta stesse il suo nemico nel tempo, il suo indice di non qualità nei secoli; da qui si giunse a identificare quali trasformazioni nella fabbricazione della carta per stampe antiche siano state deterioranti.
Alla metà del seicento si trovò come aggiungendo allume alla gelatina animale la si stabilizzasse, si velocizzasse l'asciugatura e si rendesse la carta più resistente; tuttavia non si sapeva dei danni a lungo termine dell'acidità dell'allume.
Nel 1680 nacque la pila olandese, un macchinario che tramite una lama elicoidale accelerava sensibilmente la riduzione degli stracci fermentati in poltiglia, aumentando la produttività. Gli studi del XX secolo dimostrarono una perdita di resistenza alla rottura e alla piegatura della carta per stampe antiche a partire da questa data. Infatti il lavoro della pila olandese spezzettava eccessivamente le fibre di cellulosa dei panni, prima solo schiacciate ed allungate dai magli.
Un altro aspetto che si cercò di affrontare e risolvere fu la cronica penuria di stracci, materia prima per la carta antica.
Per una buona qualità di carta per stampe antiche si sarebbero dovuti usare cenci bianchi, ma in assenza si adoperavano stracci sbiancanti con calce ed eventualmente resi ancora più brillanti con il gesso. Nel 1774 si scoprì il cloro e le sue proprietà sbiancanti; lo si usò ampiamente, non potendo cogliere subito il suo danno alle fibre della carta, ossidate e rese più fragili.
Un altro duro attacco esse lo subirono dal 1826 con l'introduzione della colofonia quale collante al posto della gelatina animale, sempre mescolata all'allume. La carta ne guadagnò in qualità e protezione da microrganismi nel breve e un'acidificazione importante con degrado della cellulosa nel lungo.
Un ultimo passo in negativo, prima della rinascita, fu compiuto con il passaggio dalla cellulosa ricavata dagli stracci a quella ricavata dal legno.
Con lo scopo di abbassare i costi ed aumentare la produttività Nicolas Louis Robert nel 1799 inventò una macchina che riproduceva il processo manuale di fabbricazione della carta, inglobandone le diverse fasi.
Da questo momento sparirono le caratteristiche rigature -vergelle- visibili in controluce ed associate comunemente all'idea di carta antica.
45 anni dopo Friedrich Gottlob Keller inventò un macchinario che spappolava il legno facendone una pasta da lavorare per ricavarne carta.
Questa fondamentale variazione nella materia prima usata ebbe un costo molto alto da pagare causato dalla lignina, componente della pasta di legno assai instabile e sensibile alla luce, tanto da portare all'ingiallimento precoce della carta.
Con il progressivo passaggio alla pasta ottenuta per spappolamento meccanico del legno a metà XIX secolo si raggiunse il punto minimo di qualità nei fogli, con forte presenza di lignina e con le fibre di cellulosa strappate e tagliate. La situazione resterà tale per il resto del secolo, migliorando sempre più in seguito grazie alla comprensione della struttura interna della carta che implicò il perfezionamento dei trattamenti chimici per fabbricarla.
Al giorno d'oggi si possono ottenere fogli paragonabili per qualità a quelli italiani del XV secolo od olandesi del XVII secolo.