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L'editoria a Venezia nel quattrocento

L'editoria a Venezia nel quattrocento trovò un terreno straordinariamente felice per svilupparsi: una politica avveduta, degli imprenditori sensibili, una clientela abbondante.
L'editoria era approdata a Venezia nel quattrocento seguendo i flussi commerciali e la città lagunare era a metà del secolo un punto di passaggio obbligato. La via degli scambi e dei traffici faceva capo a Venezia, principalmente per i flussi da e per l'Oriente.


L'editoria a Venezia arrivò nel 1469 dentro un carro trainato da buoi e guidato da tedeschi, i quali, nella città lagunare come in tanti altri centri, furono i portatori di una sapienza nuova, in cerca di luoghi propizi ove farla germogliare.
I teutonici Giovanni da Spira e il fratello Vindelino provenivano da Magonza, dove avevano lavorato come orafi e dove avevano appreso la nuova arte della stampa.


Marin Sanudo così registra lo storico avvenimento, con un occhio di riguardo anche all'aspetto economico dell'editoria: “A dì 18 septembrio fo scomenzà a Veniesia a stampar libri: inventor uno maistro Zuane de Spira todescho et stampò le Epistolle di Tullio et Plinio et morite; in loco suo successe Nicolò Janson qual vadagnò col stampar assai danari” (Il giorno 18 settembre si cominciò a Venezia a stampare libri: inventore [fu] un maestro, il tedesco Giovanni da Spira e stampò le Epistole di Tullio [Cicerone] e Plinio e morì; a lui successe Nicolò Janson [Jenson] il quale guadagnò con la stampa molti denari).


Le ciceroniane Epistolæ ad familiares furono il primo libro stampato da Giovanni da Spira. Prontamente riedite in quanto le cento copie stampate andarono a ruba. Quindi fu la volta in rapida successione della Naturalis historia di Plinio e del De civitate Dei di Sant'Agostino, concluso dal fratello Vindelino, morto Giovanni nel 1470. Giovanni da Spira, oltre ad essere il fondatore dell'editoria a Venezia nel quattrocento, detiene il record quale primo stampatore ad ottenere un privilegio quinquennale, del quale non poté servirsi per la sua dipartita.

L'editoria a Venezia con Nicolas Jenson

Più che del fratello Vindelino, la storia si sofferma su Nicolas Jenson, approdato a Venezia nel 1470 e, come precisa il Sanudo, capace con l'arte della stampa di guadagnare ingenti somme di denaro.

Jenson era un incisore francese. Lavorava a Tour, quando fu mandato nel 1458 dal Re Carlo VII, un regnate non bello, ma evidentemente perspicace, in missione a Magonza. Lo scopo era di carpire i segreti della nuova arte che usava punzoni e caratteri e di rientrare in patria a riferire al Re.
Jenson partì, giunse nella città sul Reno e riuscì a farsi assumere da Johannes Fust e Peter Schöffer, gli usurpatori dell'invenzione di Gutenberg, giurando solennemente sulla Bibbia di non rivelare a nessuno i segreti che avrebbe appreso.

Per tre anni lavorò assiduamente, imparando.

Poi rimase anche lui come tutti vittima delle vicende accadute a Magonza nell'ottobre del 1462 ed abbandonò Magonza. Qui si apre una parentesi buia che coinvolge tutti gli artigiani che erano a conoscenza della stampa e la sapevano riprodurre. Tutti nel 1462 sparirono, tutti tra il 1465 e il 1470 riapparvero in varie parti d'Europa. Cosa abbiano fatto nel frattempo, non si sa.


Anche di Jenson lo si ignora, non rientrò in Francia a riferire al suo Re, che nel frattempo era pure cambiato.
Tornò a Magonza ad acque calmate? Errò per il Sacro Romano Impero? Migrò all'estero?
Di certo c'è che riapparve a Venezia nel 1470, anno nel quale pubblicò De Evangelica preparatione. È plausibile che prima abbia lavorato, probabilmente come incisore dei caratteri, per Giovanni e Vindelino.

Nei dieci anni di attività a Venezia, il suo ultimo decennio, Jenson ottenne un successo sempre crescente, che lo spinse ad allearsi con Giovanni da Colonia, altro tedesco trapiantato in laguna e reputato uno tra i migliori ed eleganti stampatori. La società durò poco per la scomparsa prima di Jenson e pochi mesi dopo, nel 1481, di Giovanni da Colonia. Tuttavia in quel breve periodo riuscirono a dimostrare cosa fosse già capace di produrre una moderna stamperia a pochi anni dall'invenzione della stampa.


Una storia così di successo non si spiega solamente con un ambiente favorevole. Jenson ci mise molto del suo. Fu lui, infatti, che ebbe la sensibilità di portare ad un grado si superiore purezza la littera antiqua, quel tipo di carattere che gli umanisti italiani preferivano al carattere gotico ampiamente adoperato a nord delle Alpi.
La littera antiqua aveva il difetto di occupare più spazio rispetto al gotico, quindi era necessario utilizzare maggiore carta, il costo della quale arrivava a coprire più della metà del costo complessivo di un volume, ma si addiceva meglio ad alcune tipologie di opere ed aveva il pregio di farsi leggere con più semplicità grazie all'eleganza delle sue rotondità.

Le novità dell'editoria a Venezia nel quattrocento

L'editoria a Venezia nel quattrocento fu capace di introdurre alcune novità che si manterranno a lungo o che diverranno di uso comune.

Già Vindelino da Spira iniziò ad anticipare al termine di ogni pagina le prime lettere della parola che apriva la pagina seguente, uso che si mantenne fino a fine settecento. Qualche anno dopo sempre a Venezia si prese l'abitudine di contrassegnare i quaderni con numeri, mentre per la numerazione delle pagine si dovrà attendere ancora. Giovanni da Colonia, in questo caso non in prima assoluta, diede la consuetudine del marchio tipografico.

Ma su tutto spicca per opera di un altro tedesco, Erardo Ratdolt, l'introduzione del frontespizio. Esso nacque dall'idea di utilizzare quel foglio che i tipografi erano usi lasciare bianco a protezione dello stampato prima della rilegatura. Il frontespizio con le informazioni a cui siamo abituati andò a sostituire il colophon che a chiusura del volume in poche righe a formare una piramide rovesciata dava circa le medesime notizie.
Così si poté catalogare i testi non dalle prime parole della prima pagina, ma dal titolo. Ben presto il frontespizio venne abbellito con cornici decorative che nel corso dei secoli rispecchiarono il susseguirsi dei gusti.

 

 

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di Davide Biffis

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